Pubblicato il 28/05/15 da Neko Polpo

Xydonia: intervista agli sviluppatori

Durante lo Svilupparty 2015 i nostri Illud ed Honoo hanno incontrato e intervistato tre dei quattro sviluppatori di Breaking Bytes, attualmente all’opera per completare Xydonia, uno shoot ‘em up a scorrimento orizzontale che guarda apertamente ai classici del passato. Buona lettura!

Gabriele: Che gioco è Xydonia, e chi ci sta lavorando?
Alberto Cristofaro: Al gioco sta lavorando un team di quattro persone: Dario Fantini in qualità di programmatore, game designer e compositore, Walter Samperi come lead artist e designer, Vittorio Barbera alla grafica e agli artwork, infine io, in veste di game designer e project manager. Xydonia è uno shoot ‘em up a scorrimento orizzontale dal sapore retrò che guarda ai classici del genere, da Axelay a Thunder Force, insomma soprattutto ai titoli di scuola giapponese (perché bisogna stare attenti, c’è molta differenza tra lo stile occidentale e quello nipponico!). È un tentativo di calare quel tipo di gameplay in un contesto che fa alcune concessioni alla modernità, ad esempio per quanto riguarda i path: prevediamo di inserire la meccanica dei “percorsi multipli”, ripresa da titoli quali Star Fox, Darius ed Out Run. Questo perché stiamo cercando anche di inserire una componente narrativa, molto ironica e “divertita”, all’interno del gioco.

G: Cos’è cambiato rispetto alla build che abbiamo visto in azione nel corso di Svilupparty 2014?
Dario Fantini: Allora, per cominciare è cambiata radicalmente la veste grafica, risoluzione in primis. Abbiamo deciso di renderla più “a portata di pixel”, perché prima era troppo alta. L’abbiamo portata a 428×240, il corrispettivo 16:9 dei giochi “a bassa risoluzione” su console, per intenderci. Siccome fare un gioco in 4:3 è fondamentalmente un po’ scomodo, abbiamo optato per i 16:9, cosa che ci permette di avere uno schermo da sfruttare meglio in larghezza. Gli sprite sono stati ridisegnati tutti da capo, mentre la palette dei colori è passata dal rispecchiare quella del Mega Drive ad essere quella del Neo Geo. Dal punto di vista grafico il gioco ha fatto dunque un salto “storico” in avanti di qualche anno, a metà anni Novanta. Per quanto riguarda la componente sonora sono passato a fare musica direttamente con il chip audio del Mega Drive, utilizzando un tracker che si chiama DefleMask, mentre prima simulavo questi chip con i VST.

XydoniaG: E questo diverso modo di lavorare, musicalmente parlando, cosa ti permette di ottenere?
D: Questa è una domanda interessante: per quanto mi riguarda cambia l’attitudine alla composizione. Mi spiego: un conto è comporre un brano con i mezzi moderni e con i suoni “vecchi”, cioè utilizzare suoni dell’epoca all’interno di un software moderno. Questa scelta ti porta ad adottare un ottica compositiva prettamente moderna e da musica “normale”. Il tracker, invece, che ha una struttura molto schematica e matematica, mi dà un’attitudine compositiva più da videogioco. Non devi necessariamente suonarlo, puoi comporre il tutto “inputtando” le note: è un lavoro che si adatta anche meglio al mio ruolo di programmatore del gioco. E poi io preferisco il lato compositivo a quello performativo, e scrivere così la musica mi svincola dalla necessità di suonare. Per fare musica da videogioco bisogna utilizzare strumenti videoludici! Il tracker è stato per anni il metodo di noi occidentali per comporre musica da videogiochi. I giapponesi invece utilizzavano metodi per noi molto più oscuri come l’MML. Insomma, ho cambiato i suoni, ora sono molto più “fedeli” e meno “somiglianti” a quelli del vero e proprio Mega Drive, al suono FM.

G: Tu parli di feeling compositivo. Da giocatore del vostro lavoro devo notare che anche dal punto di vista del gameplay il feeling è cambiato: giocando mi sono reso conto di riuscire a fare sul serio solo con la musica nelle orecchie!
A: Certo, la musica è una componente complementare al gameplay!
D: Per come sono nato e cresciuto io, videoludicamente, questo è fondamentale…

XydoniaG: Come hai lavorato sui loop? Come li hai organizzati? Perché mi pare che tu sia riuscito a sfruttare in modo sorprendente la ripetizione e legare così ancora meglio musica e gameplay.
D: Per motivi di gestione del gioco su varie piattaforme e per come viene compilato il gioco, non mi conviene utilizzare in realtà il formato nativo dei tracker, che crea dei moduli, dei file che peserebbero 20 kb. Potrei farlo, come Locomalito che utilizza direttamente i file VGM di VideoGame Music Maker in Maldita Castilla, ma non mi conviene per una questione di portabilità, dato che sono DLL “terze parti”. Non riuscirei a farli suonare su console, per dire. In breve, io renderizzo la musica su WAV, e utilizzo dei “pointer” per gestire i loop del brano. E poi sono WAV estrapolati direttamente dal tracker, quindi non perdo in qualità.

G: E per gli effetti sonori come lavori?
D: Il processo degli effetti sonori è un casino, perché è un trial and error! Un sintetizzatore non può mai riprodurre in maniera totalmente realistica un suono… Per esempio: come si fa il rumore dell’esplosione? È rumore bianco, ma devi saperlo modulare, e creare un suono “realistico” sintetizzato, in modo che al cervello ricordi il suono originale. A livello tecnico utilizzo gli stessi strumenti che uso per comporre.

G: Come state lavorando sui dialoghi?
A: A monte abbiamo deciso di inserire le battute scritte nei momenti più tranquilli, quando non hai tutto il mondo contro a spararti. Molto probabilmente ci saranno cutscene all’inizio e alla fine di ogni livello, per far proseguire la trama. Per quanto riguarda i dialoghi cerco di tenere alto il livello dell’ironia, ma tenterò di scrivere anche cose più serie e meta-videoludiche. Inoltre mi piace fare citazionismo, ma deve essere dosato, per essere d’effetto.

XydoniaG: Effettivamente i dialoghi hanno anche effetti sul piano del gameplay, perché permettono di gestire ritmicamente le fasi più concitate e quelle più tranquille. Insomma, in qualche modo si ritorna alla musica!
D: Infatti il gioco trae molto vantaggio dal fatto che io sia programmatore e musicista: piuttosto che adattare la musica a un livello già pronto, devo e mi piace lavorare su entrambe le cose di pari passo.

Honoo: Siete molto interessati alla storia e alla caratterizzazione del gioco. Ma la componente narrativa in uno shmup non potrebbe rischiare di essere controproducente?
A: Bella domanda: noi cercheremo di bilanciare un po’ il tutto. Secondo me non è controproducente, ma non deve neanche intaccare il gameplay: bisogna cercare il posto per la trama, posto che spesso durante le partite non c’è. E quello narrativo secondo me è un elemento a cui non possiamo rinunciare.
D: Spesso la prima cosa che si legge nelle recensioni degli arcade è “la trama è un pretesto per l’azione”. È un rischio che si può correre, ma è impossibile nascondere che quando si pensa a un gioco si pensa prima di tutto a delle meccaniche, a un gameplay. In questo senso un gioco arcade è come una bistecca, te la gusti così com’è, ma se ci metti un po’ di sale è meglio!

H: Anticipazioni sul gameplay?
A: Non ci dispiacerebbe inserire quattro astronavi selezionabili, ognuna con caratteristiche particolari a seconda del pilota “proprietario”: prevediamo diversi livelli di power-up e di “option”, e anche un attacco speciale, il “burst”, ovvero il tipico “attacco-bomba”, che farà perdere le option al giocatore (questo per evitare un eccessivo potenziale distruttivo da parte del giocatore, che potesse utilizzare il burst senza perdere nulla sarebbe troppo avvantaggiato).

XydoniaH: Perché avete scelto l’autofire?
D: È una scelta che si sposa con un gusto un po’ più moderno del videogioco, e in realtà è una meccanica fondamentale, soprattutto per quanto riguarda i pattern dei nemici e la quantità degli obiettivi a schermo. Avere un potenziale distruttivo elevato ti permette di gestire meglio la situazione, e il flusso dei nemici deve essere adeguato, sia nella quantità che nelle modalità di movimento degli avversari all’interno del livello. In R-Type tu non puoi mettere troppi nemici, perché non riusciresti a distruggerli tutti, e in uno shmup è fondamentale poter distruggere, perché questo elemento dà al giocatore un grande senso di potere e di progressione. Una cosa che gli appassionati del genere contestano agli “euro-shooter” è il fatto che questi titoli (che pure come autori ci influenzano molto a livello di filosofia estetica ed immaginario) seminano i livelli di nemici molto duri da abbattere, e quasi diventa più facile evitarli. E quando accade questo, in uno shmup, c’è un problema. Vogliamo anche stare molto attenti al modo in cui i nemici sparano verso il giocatore: in un buon shoot ‘em up ci dovrebbe essere sempre quel momento in cui chi gioca comprende che qualcuno o qualcosa gli sta per sparare!

H: Che mi dite riguardo alla difficoltà del gioco?
D: Possiamo dire che Xydonia sarà un titolo molto impegnativo e stiamo valutando la possibilità di inserire un ranking system che permetta di adattare meglio la difficoltà complessiva alle partite effettive del giocatore. Potrebbe basarsi, ad esempio, sui power-up, e certo non su parametri folli, come accadeva in Battle Garrega, in cui il ranking era calcolato a partire dai gettoni inseriti!

XydoniaH: La creazione del mondo di gioco è stato un compito esclusivo del lead artist oppure è stato un processo accuratamente filtrato dalle opinioni degli altri membri del team?
Walter Samperi: Il design grafico è stato fin dall’inizio principalmente un mio compito, chiaramente tenendo conto del feedback del resto del team. In generale comunque sono dell’idea che sia giusto ascoltare i consigli, ma senza scendere a troppi compromessi rispetto al proprio stile, altrimenti si rischia che il prodotto perda personalità.

H: Sei alla tua prima esperienza? Puoi raccontarci qualche dettaglio del processo creativo?
W: È la mia prima esperienza a livello lavorativo, in passato mi è capitato di buttare giù qualche sprite a tempo perso, ma non mi ero mai applicato come adesso. Per lavorare uso Photoshop, non perché sia il più adatto alla pixel art ma semplicemente per abitudine. Il processo che ho seguito, e che consiglio a chiunque si avvicini a questo lavoro, è stato uno studio diretto dei videogiochi a cui, nel nostro caso, ci stiamo ispirando, ovvero arcade e 16 bit anni ’90. I tutorial sono utili ad apprendere le tecniche, ma vederle applicate da (molto) vicino sugli sprites dei grandi artisti del passato è indispensabile. Inoltre, questa esperienza mi ha dato la possibilità di vivere la mia passione sotto un’ulteriore dimensione, quella dello studio e dell’analisi del lavoro che c’è dietro un videogioco.

H: Ogni minimo particolare è studiato per restituire graficamente (e non solo) un’autentica esperienza 16-bit. In questo senso, hai trovato difficoltà a lavorare “per sottrazione”?
W: Sicuramente avere delle limitazioni grosse come quelle dei 16-bit è una bella sfida, ma penso che sia stata in compenso molto utile a formarmi e a darmi una direzione nell’apprendimento. Il fascino della pixel art è, secondo me, soprattutto dato dalla capacità di un artista di “ingannare” l’occhio umano, riuscendo a tirar fuori da una semplice griglia di pochi pixel e una palette molto ristretta, dettagli ed animazioni che sembrerebbero impossibili da realizzare. Sono convinto che le limitazioni hardware abbiano avuto un ruolo fondamentale nella nascita di questo stile, insieme chiaramente al genio degli artisti che sono riusciti a padroneggiarlo.

H: Gli sprite sono pensati per essere visualizzati con i filtri oppure no?
D: In realtà la grafica “a pixel” di una volta era pensata per essere visualizzata su un catodico, quindi era fatta per essere smussata dal catodico e dal suo segnale analogico. I primi tempi degli emulatori, infatti, io ero molto interdetto dalla resa che avevano i giochi sullo schermo del computer, e c’era una corsa al filtro, anche quelli che oggi considerati “brutti”, come l’interpolazione. Oggi non è così: il pixel ha acquisito una nuova dignità, piace (anche troppo) vederlo. Noi renderemo disponibili tutti i filtri del caso, per consentire una sorta di personalizzazione “da emulatore”. La nostra destinazione ideale sarebbe il catodico, quindi i filtri saranno sicuramente presenti.

H: Quanto e in che modo state lavorando al gioco?
A: Ci stiamo lavorando di notte, in pratica.
D: Sì, nel tempo libero, per ora. Stiamo cercando, però, di rendere questo un lavoro a tempo pieno e di dedicarci completamente a Xydonia. Stiamo vagliando tutte le possibilità per far sì che questo accada. E ci auguriamo che il gioco sia pronto entro la fine del 2016!

XydoniaH: Uscirà in digital delivery, in copia fisica? Piattaforma? In che modo pensate di monetizzare con il vostro gioco? Vi state scontrando con qualche intoppo burocratico?
A: Possiamo affermare senza molti dubbi che il gioco uscirà attraverso diversi canali di digital delivery. Stiamo valutando attentamente su quali piattaforme distribuire il nostro titolo, prevediamo in ogni caso una distribuzione per il mercato PC attraverso Steam. Stiamo valutando anche la possibilità di poter sbarcare nel mondo console, sia domestiche che portatili, questo percorso però è decisamente più complicato sia per questioni di natura tecnica sia per questioni di natura burocratica. A tal proposito possiamo dirvi che il nostro più grande scoglio infatti non è legato allo sviluppo del gioco stesso ma alla sua commercializzazione. È molto complicato, almeno per noi in Italia, riuscire a imboccare una strada che non risulti altamente rischiosa, dato che non esiste una vera propria via da seguire per chi come noi si affaccia a questo tipo di mercato per la prima volta. Scegliere il tipo di società da costituire, valutarne i pro e i contro, i rischi e gli svantaggi ma soprattutto mettere in conto che fino a quando il gioco non sarà messo in vendita, tutte le imposte, i bolli e gli atti notarili saranno delle spese obbligatorie e quasi estorte da parte del nostro paese. Queste spese, in altre nazioni, non graverebbero così tanto sul percorso di chi vorrebbe far diventare la propria passione il proprio lavoro.

H: Perché Xydonia? Perché abbiamo bisogno di un gioco del genere oggi?
D: Semplicemente, non ce ne sono molti sul mercato, e siccome avevo voglia di giocarne uno che fosse il mio “shoot ‘em up dei sogni” ho deciso di farmelo da solo. Sono contro il razzismo videoludico e non capisco perché un genere debba sparire. Stiamo investendo tutta la nostra passione per riportare in vita uno dei generi fondamentali dell’epoca d’oro dei videogame.

Xydonia

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