Pubblicato il 30/03/17 da Neko Polpo

Thimbleweed Park – I want to believe in adventure games.

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Ah, l’inizio degli anni ’90, l’epoca d’oro in cui l’industria videoludica non temeva più di chiudere i battenti come poco tempo prima. Era l’epoca della console war tra Nintendo e Sega, dell’avvento del Megadrive/Genesis, del gaming portatile grazie al lancio del Nintendo Game Boy.

Periodo d’oro sì, ma i Personal Computer, prima forti grazie ad Amiga e Commodore 64, faticavano a ritagliarsi un loro spazio in quest’industria, soprattutto a causa dei sistemi di controllo meno intuitivi di un pad del Nintendo SNES. Nonostante questo difetto, sono stati proprio loro però che permisero a due generi in particolare di prendere piede su piattaforma PC: FPS e Avventure Grafiche.

Il secondo genere, senza ombra di dubbio, fu dominato quasi totalmente dalla Lucasfilm Games, che grazie al talento di Ron Gilbert e Gary Winnick portò nei nostri PC, sotto forma di floppy disk, una serie di avventure maniacalmente geniali come Maniac Mansion, Zak McKraken e The Secret of Monkey Island.

Ho un sacco di ricordi legati alle opere di Gilbert e Winnick: ai tempi andavo a studiare da una mia compagna di classe, per poi passare le ore a cercare di capire come trovare Big Whoop in Monkey Island 2. Ricordo ancora l’umorismo pungente dei testi del gioco (che ai tempi capivo a stento e solo rigiocando di recente alle varie Special Edition ho potuto cogliere del tutto) e gli enigmi che mettevano seriamente in moto la mia capacità di pensiero laterale. Cose che sì ho trovato anche in altre avventure recenti, ma mai a livello di quei piccoli capolavori su floppy.

Giusto per farvi capire lo humor: c’è un’opzione per selezionare la posizione della carta igienica.

Quindi potete immaginare quanto possa essere stato felice il giorno in cui venne aperto il Kickstarter di Thimbleweed Park: un’avventura grafica, creata dal dinamico duo Gilbert/Winnick, con interfaccia tipica delle avventure fine anni ’80 inizio anni ’90 e con un’art direction simile a quella vista ai tempi di Maniac Mansion.

Non dirò nulla di sostanziale sulla trama, anche perché se no tanto vale che vi prendiate il gioco, sappiate solo che controlleremo un nutrito gruppo di personaggi, ognuno con un proprio scopo, in una piccola cittadina americana che dà il titolo all’avventura, Thimbleweed Park, guidando inizialmente gli agenti federali Reyes e Ray, che stanno indagando su un omicidio.

Cioè, dico io, non sembrano sospetti, su!

Le tinte noir presto verranno diluite nel classico umorismo delle avventure di Gilbert, e un po’ come se fosse una versione “Monkey Islandizzata” di X-Files, porteremo avanti le indagini raccogliendo prove, combinando oggetti e scambiando varie chiacchiere con gli abitanti della cittadina.

Gli enigmi sono quasi tutti abbastanza leggibili anche senza un sistema di hint (presente in molte avventure contemporanee): è possibile arrivare alla soluzione semplicemente esplorando Thimbleweed Park, anche se forse può capitare che ci si blocchi ogni tanto, principalmente perché ci si scorda di una meccanica fondamentale: si può cambiare personaggio. Alcuni enigmi appunto non potranno essere risolti da soli, e cambiare in fretta il personaggio che stiamo controllando potrebbe essere la soluzione più ovvia, ma a differenza dei verbi e degli oggetti, sempre presenti nella parte bassa dello schermo, il comando del cambio personaggio va in fade out nell’angolo in alto a destra e spesso ci si può scordare di questa opzione.

Strani modi di parlare, pare che sia un’abitudine qui a Thimbleweed.

Al di là di questa piccola svista dell’UI l’avventura scorre liscia, grazie anche alla localizzazione del titolo nella nostra lingua, la quale non va a snaturare troppo il senso delle frasi ma che permette di risolvere gli enigmi verbali senza troppi problemi (niente aringhe rosse, chi vuole intendere intenda). Uno dei picchi più alti lo si raggiunge nei dialoghi con il Bamboccio alla moda, il quale userà termini molto in voga negli anni ’80 in America, tradotti dai localizzatori con termini più nostrani – rad tradotto con gallo al posto del classicissimo e noioso figo, per fare un esempio.

Non posso però dire di essere rimasto soddisfatto dal doppiaggio inglese, che non mi ha emozionato più di tanto. Reyes mi ha ricordato leggermente il caro Guybrush, mentre Ray mi è sembrata una generica investigatrice dell’FBI acida. Pollici in su per il pagliaccio Ransome, aggressivo e al vetriolo, e la giovane Delores, mentre la voce dell’onnipresente Sceriff-a-rino mi ha stufato abbastanza in fretta.

Sei troppo togo, zio!

A salvare il comparto audio ci pensa però la colonna sonora, reminiscente dell’epoca d’oro di LucasArts, con temi cupi da film noir ma con accenni che sottolineano la generale leggerezza e comicità dell’opera. Da premiare anche lo sforzo di Winnick a creare quel qualcosa che artisticamente ci potesse portare indietro nel tempo senza però sembrare troppo antiquato, trovando il giusto compromesso tra la semplicità grafica di Maniac Mansion e i dettagliati scenari di Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge.

Thimbleweed Park ha di certo soddisfatto le mie aspettative, riportandomi indietro nel tempo con un’avventura grafica divertente e stimolante, pungente ed irriverente, anche se forse non esattamente immediata per chi è alle prime armi. Gilbert e Winnick son tornati, più in forma che mai.

Umorismo pungente

Ottima localizzazione

Enigmi stimolanti

  • Un ritorno all'epoca d'oro
  • Storia interessante e mai noiosa
  • Testi impeccabili...

 

  • ... Ma il doppiaggio vacilla
  • UI con piccoli problemi
  • Non adatta a chi non vuole pensare troppo

 

NekoPolpo - Biografia

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