Pubblicato il 26/08/17 da Neko Polpo

Black: The Fall – Meglio morto che rosso

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C’è un genere morto a fine anni ’90 che magari non tutti ricordano: quello degli step-platformer. Chi, come me, è cresciuto a pane ed Another World, ha probabilmente pianto una singola, grossa lacrima, quando Fade to Black e Prince of Persia 3D, in un vano tentativo di portare il genere nella terza dimensione, se lo sono trascinato nella tomba. L’avvento dell’indie gli ha permesso, però, di tornare quatto quatto sulla scena, grazie a pochi giochi, spesso piccini ma d’impatto, come Limbo ed il suo seguito Inside.

Ci risiamo, Lester, in gabbia ancora una volta.

Uno dei frutti del succitato impatto è Black: The Fall, un puzzle-platformer sviluppato da Sand Sailor Studio e pubblicato da Square Enix.
La trama, narrata senza parole, ci mette nei luridi panni di un poveraccio costretto ai lavori forzati che riesce, alla prima occasione, a svignarsela dalle inarrestabili fabbriche comuniste e dare inizio alla rivoluzione. Praticamente è tutto qui. Il senso del gioco è di lasciare spazio alle immagini ed al gameplay, dandoci giusto il pretesto necessario per vedere come va a finire.

Ah, un altro giorno in paradiso. E chi vorrebbe mai scappare da qui?

Il gioco calca più la mano, invece, sulla pesante critica al regime comunista. Letteralmente a cinque minuti dall’inizio ci presenta immagini di Marx, Lenin e compagnia, venerati come padri fondatori, ma il gioco dipinge il regime come una serie di campi di concentramento, lavori forzati e violenza guerrafondaia. Quello che Sand Sailor Studio vuole davvero attaccare è il fascismo o, per la precisione, il regime Stalinista, ma sembra mescolare un po’ le sue metafore e, ad un certo punto, non ho capito dove volesse andare a parare. Voglio dire, gli sviluppatori sono russi, quindi presumo sappiano di cosa stanno parlando, ma una parte di me non riesce a non dubitare che abbiano virato dal bersaglio giusto lungo la strada.

Simbolismo sottile quanto una cotoletta.

In ogni caso, il lato gameplay è decisamente meno confuso e sa esattamente a cosa mira. Nonostante la grafica poligonale, il gioco è completamente bidimensionale ed inizialmente piuttosto semplice. Scappare dalle fabbriche, popolate da altri poveri schiavi identici a noi, riporta in mente buone memorie di Oddworld: Abe’s Oddyssee. Il feeling aumenta quando il gioco introduce la sua gimmick principale: un puntatore laser che permette di controllare, a distanza, alcuni apparecchi elettronici ed i nostri alleati. Prima che riusciate a dire “pasticcio di Paramita” vi ritroverete a comandare altri poveri sciagurati per fargli attivare dei pulsanti e distrarre i nemici. Il flashback (heh heh) ai Mattatoi Ernia non dura tantissimo, però, perché Black: The Fall tenta sempre di mescolare le carte in tavola con nuovi elementi di gameplay.

Uno degli elementi meno sfruttati è il concetto di usare superfici riflettenti per far arrivare il puntatore laser in zone irraggiungibili. Appare, si e no, tre volte in tutta l’avventura.

Questo è un lato che ho particolarmente apprezzato: il gioco abbonda di idee e riesce ad essere, allo stesso tempo, variegato e capace di sfruttare tutte le sue gimmick al punto giusto, lasciandosele dietro solo quando iniziano a diventare un pochino stagnanti. Non è un gioco lunghissimo, ma dura quanto basta per lasciare la soddisfazione di aver esplorato tutto quello che sembrava interessante con i suoi elementi di gameplay.
Ad esempio, una delle gimmick più rilevanti è un compagno robotico a forma di cane, il quale ci segue per due terzi dell’avventura. Sebbene inizialmente usato per cose molto semplici, come i soliti interruttori da premere, il gioco trova sempre qualcosa di nuovo e stimolante per sfruttare l’idea di un compagno radiocomandato indistruttibile, restando interessante tutto il tempo.

Il robocane non è solo utile per premere interruttori: viene sfruttato anche per una varietà di puzzle ambientali, dal distrarre le telecamere al fare da contrappeso.

Sul lato grafico si difende benissimo, con un’estetica già vista, in gran parte, con Inside, ma comunque curata a puntino e accattivante. Solido anche a livello tecnico, privo di bug e collisioni strampalate, ben fatto e leggero, perlomeno nella versione PC, che è quella testata dal sottoscritto. Se vi sembra un punto un po’ bizzarro da esaminare, beh, è tutta colpa di cattive esperienze con brutti step-platformer che ho giocato in passato, tipo il dolorosamente mediocre (e alquanto malfatto) remake di Flashback del 2013. Quanto al sonoro, è decisamente meno impressionante, con qualche pezzo audio atmosferico e poco altro di memorabile.

Non è che Black: The Fall sia un bastione di allegria, ma quando ci si mette riesce ad essere davvero deprimente.

In conclusione, Black: The Fall è stata un’esperienza breve, ma positiva, il giusto snack per chi ha ancora fame di Inside e cerca qualcosa di simile. Tecnicamente solido, lungo quanto basta ed esteticamente piacevolissimo, non posso che dargli un bel paio di pollicioni in su.

Estetica


Varietà

  • Esteticamente raffinato e di gusto
  • Gameplay solido
  • Gran varietà di puzzle

 

  • Durata risicata
  • Alcuni puzzle sono troppo facili

NekoPolpo - Biografia

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