Pubblicato il 10/09/14 da Neko Polpo

La dura vita di uno psichiatra all’interno della Space Station 13

Dopo la colonizzazione del sistema solare, l’umanità si è espansa nello spazio. È un nuovo selvaggio west, e le forme di vita intelligenti non possono fare a meno di accaparrarsi il dominio di qualche settore spaziale. Le stazioni spaziali, baluardi di civiltà e multiculturalità, cercano di sopravvivere in maniera autonoma. Skrell, Unathi, Tarjan, Dionaea sono alcune delle specie aliene che si sono alleate agli umani, e non è raro trovarle mentre svolgono i loro compiti di cittadini della Space Station 13. Oltre a loro, ci sono anche costrutti creati dalle nostre mani, come gli IPC  Integrated Positronic Chassis: una razza umanoide sintetica. Non mangiano e non hanno bisogno di respirare ma vi posso garantire una cosa: hanno bisogno anche loro di uno psichiatra.

Ero tranquillo nel mio ufficio, quando questo IPC bussa alla mia porta. Lo faccio accomodare sul lettino, e mi rivela di avere l’autostima a pezzi. Z.E.K.E., questo il suo nome, è il proprietario di un bar non molto lontano dalla zona medica. Mi racconta di quando, pochi attimi prima, il detective della stazione ha fatto irruzione nel suo locale, gli ha rubato la scimmia ammaestrata, e l’ha picchiato con una chiave inglese, senza dargli nessuna spiegazione. Diamine, avrei anche io l’autostima a pezzi se fossi nei suoi panni. Gli prescrivo un anti-depressivo, e contatto via radio il Centro Sicurezza, chiedendo di poter parlare con il loro detective. Mi comunicano che “ci hanno già pensato loro” e che “il detective non sarà mai più un problema”. Non si può certo dire che il Centro Sicurezza non sia efficiente.

Bussano nuovamente alla porta, questa volta è il clown della stazione. Una figura necessaria, all’interno di un ambiente come questo: troppa tensione sociale e il disastro è imminente. Fa bene avere qualcuno che risolleva l’umore. Divagazioni a parte, lo faccio accomodare sul lettino e mi confessa che sente il bisogno di stuprare qualcuno. Woo, woo: fermi tutti. Roba grossa. Evidentemente la questione già si sapeva, perché il mio assistente mi ha consegnato una camicia di forza e una pistola spara-siringhe soporifere. Il clown le vede e comincia a sbroccare, colpendomi con un martello gonfiabile. Mentre io gli sparo con la siringa, addormentandolo, l’assistente lo mette al sicuro dentro il suo nuovo abito e lo carica su un lettino ospedaliero, portandolo in una zona sorvegliata.

Non troppo sorvegliata evidentemente, perché proprio mente stavo aggiornando il computer centrale notificando i problemi del clown, me lo vedo fare irruzione, questa volta armato con un piede di porco insanguinato. Oh cazzo. Cerco di ricaricare la pistola a siringhe, ma lui è più veloce di me: mi colpisce alla testa, facendomi cadere a terra. Afferra la mia pistola a siringhe e tira fuori dalla tasca un saldatore e, uscendo dal mio ufficio, mi sigilla dentro, bloccando le porte automatiche. Dannazione. Chiamo alla radio il personale medico e la sicurezza, raccontandogli l’accaduto e, pochi minuti dopo, un ingegnere sfonda la parete laterale della stanza, liberandomi. Mi dirigo ferito dal distributore di apparecchiature mediche, ordinando del sonnifero e delle siringhe, che caricherò successivamente con lo stesso. Chiamo la sicurezza, comunicandogli che il clown è pericoloso, ma non mi rispondono: hanno problemi più gravi. Un nucleo terroristico sta infatti minacciando di far esplodere un area della stazione se non gli verrà consegnato il capitano.

Giro per i corridoi e lo vedo, quel maledetto clown. Corro verso di lui, siringa in pugno, dimenticandomi una cosa: lui aveva ancora la mia pistola spara siringhe. Mi colpisce in pieno petto, e cado al suolo. Si avvicina ridendo con una lancia in mano. Una cazzo di lancia. Non faccio in tempo a chiedermi dove l’ha ottenuta che inizia a colpirmi al volto e allo stomaco con l’arma. Poco prima di perdere i sensi, mi trascina all’interno di un cesso, sigillando la porta dall’esterno. Non riesco a rialzarmi, e la vista è compromessa a causa dei colpi ricevuti. Faccio appena in tempo a chiamare aiuto nel canale medico, rivelando la mia posizione, prima di crollare a terra svenuto. Non vedevo nulla. Non sentivo nulla. Stavo per morire.

All’improvviso, delle voci dal corridoio. Non riesco a capire cosa stanno dicendo, ma un dottore apre la porta togliendo le saldature di quello psicopatico di un clown. Mi carica su un lettino e mi porta immediatamente in chirurgia. Sto sotto i ferri per un eternità, o almeno così mi sembra, dolorante in ogni zona del mio corpo. Il dottore mi comunica ho comunque un trauma cerebrale al 20%, che la mia vista è compromessa e mi consiglia di non esagerare con gli sforzi. Gli dico di non preoccuparsi ed esco. E lo vedo. Quel dannato clown. Sta frugando nei materiali del reparto clonazione, ma non mi ha visto. Afferro l’oggetto contundente più vicino a me, una chiave inglese che qualche tecnico deve aver dimenticato, e mi avvicino allo psicopatico. E lo colpisco alla testa. E poi al torace. E poi di nuovo alla testa. Ho perso il numero delle volte che ho colpito quello stronzo. Mollo la chiave inglese insanguinata e lo trascino al tubo di smaltimento rifiuti più vicino, liberandomi di lui per sempre. Nel frattempo mi accorgo di una cosa: l’ospedale è deserto. Ed è un macello.

Space Station 13
La zona medica era un inferno e la mia vista compromessa per sempre.

Nel frattempo, il Centro Sicurezza è in allarme rosso: i terroristi hanno rilasciato una quantità di blob espansivo killer nel reparto ingegneristico. Il medico che mi ha salvato pochi momenti prima mi fornisce una tuta rinforzata e un elmetto da indossare, ma per errore finisco intrappolato nel laboratorio di chimica: non posso più aprire la porta poiché ho perso il mio tesserino. Chiamo aiuto via radio e, poco dopo, un tizio sfonda un vetro e mi aiuta, scavalcando il tavolo, ad uscire. Fuori, il delirio: barriere anti-hazard ovunque, striscie di sangue in ogni dove. Il capitano sembra sparito e tutti lo stanno cercando. Io piglio un piede di porco da un cadavere e mi faccio largo verso il ponte di comando per cercare di chiamare lo shuttle di emergenza, mentre in giro sembra sia scoppiata la guerra civile. Sfortunatamente, mi dimentico di togliere la corrente e colpisco un cavo elettrico nella porta che separa me dal terminale dello shuttle. Svengo a terra fulminato e ferito.

Il medico che precedentemente mi aveva salvato la vita mi riporta in chirurgia e mi cura il più velocemente possibile mentre un ufficiale di sicurezza è riuscito a far arrivare lo shuttle, chiudendo la stazione tra noi e i terroristi. Saliamo sulla nostra via di fuga il prima possibile e partiamo, lasciando i terroristi a terra, non prima che riuscissero a dare fuoco a tutta l’ala est della stazione. Ed è così che sono sopravvissuto. Dura la vita di uno psichiatra all’interno della Stazione Spaziale 13. Non preoccupatevi per questa stazione, l’umanità ha imparato a ricostruirle rapidamente e c’è sempre posto per nuovi volontari al loro interno. Che aspettate quindi? Sbarcate anche voi nella Space Station 13.

 

NekoPolpo - Biografia