Pubblicato il 04/03/16 da Neko Polpo

Volvox – Triangolo con l’occhio

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Ho avuto qualche difficoltà a trovare il modo più efficace per descrivere quello che è il mood di gioco di Volvox, la maniera in cui fluiscono le partite, le sensazioni provate durante il processo di risoluzione dei livelli, insomma la sua giocabilità nel senso più largo possibile del termine. Un puzzle game dal ritmo piacevolmente placido, senza blocchi in caduta libera, limiti di tempo o motori fisici poco prevedibili, ma che riesce ad intimidire il giocatore con enigmi complessi ed una certa severità delle meccaniche. Una piacevole sensazione di sicurezza, derivante dalla consapevolezza di avere il completo controllo di tutti gli elementi sparsi per la griglia di gioco, convive con l’ansia di doverli coordinare efficacemente, evitando mosse irreversibilmente errate. Inizialmente non capivo da dove potesse provenire quel feeling così familiare poi, scavando nella mia memoria di videogiocatore, ho ricondotto alcune sfaccettature di gameplay ad uno dei passatempi della mia infanzia: Sokoban.

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Si potrà muovere una trimeba alla volta, cliccandoci sopra con il mouse.

Uscito originariamente nel 1982 su PC-88, Sokoban è un puzzle game in cui bisogna far scivolare delle casse tra le mura di un piccolo labirinto, fino a posizionarle nei punti prestabiliti. Difficilmente qualcuno di voi avrà giocato la versione originale, però il titolo creato da Hiroyuki Imabayashi è decisamente conosciuto, anche grazie ad innumerevoli conversioni, plagi ed omaggi. Il principio base del gioco di Sumero Lira è molto simile: ci tocca far rotolare dei piccoli esseri triangolari, chiamati trimebe, fino a dei punti specifici dello stage, sfruttando la loro capacità d’impilamento per fronteggiare la verticalità di alcune strutture biologiche. Ad esempio, per sorpassare un dosso troppo alto dovremo ammassare parte dei nostri organismi monocellulari per creare una passerella e permettere alla nostra “prescelta” di arrivare a destinazione; sì, perché solo le trimebe “chiavi”, raggiungendo l’obbiettivo con una certa fase di rotazione, sbloccano l’accesso al livello successivo. Seppur a parole questa fase iniziale di gioco possa ricordarvi da vicino il classico giapponese, una spazialità maggiore degli ambienti permette di compiere qualsiasi genere di manovra con i nostri triangolini, riducendo il processo risolutivo ad una serie di tentativi a mente praticamente spenta.

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La colla di alcune trimebe risulterà fondamentale per la costruzione di piccoli ponti.

Le cose cambiano radicalmente quando entrano progressivamente in scena delle trimebe dotate di abilità peculiari, come ad esempio la capacità di arrampicarsi sulle superfici verticali oppure di esplodere per aprire dei varchi cellulari; l’utilizzo di questi poteri spesso implica il dover effettuare una mossa non reversibile che, nel caso in cui si riveli sbagliata, richiederà al giocatore di ricominciare da capo il quadro. Una situazione frustrante che trova il suo esatto parallelismo nello spingere una cassa contro un muro in Sokoban, rendendola così inamovibile da quella superficie. I 250 puzzle proposti da Volvox seguono tutti quella filosofia lenta e spietata, plasmando inevitabilmente un’esperienza di gioco severa, in cui sarà necessario gestire un gran numero di elementi a schermo con estrema precisione. Un titolo reso difficile non tanto dagli enigmi in sé, quanto dall’alta possibilità di compiere errori durante le manovre richieste per risolverli. Dopo averci speso una ventina di ore, arrivando solo ad un terzo del completamento totale, posso dire con discreta sicurezza che ciò che mi ha maggiormente messo in difficoltà è il numero di trimebe presenti in un dato rompicapo, e non la necessità di saper utilizzare al meglio le loro abilità. Una rigidità che arriva a contagiare anche l’impalcatura di gioco che, per meglio delineare una curva di apprendimento senza intoppi, obbliga a risolvere gli enigmi in sequenza, impedendo di rimandare i puzzle più impegnativi.

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Portare a termine un mondo di gioco significherà completare un piccolo organismo pluricellulare: ecco il verme.

La concezione un po’ arcaica è l’unico ostacolo che ci divide da tutti i grandi pregi di Volvox, a partire dalla qualità singola degli enigmi. Durante la nostra prima chiacchierata allo Svilupparty 2015, Sumero Lira mi aveva spiegato come intendesse rendere la sua creatura uno strumento per allenare l’elasticità mentale dei giocatori, attraverso un processo di apprendimento lento e piacevole. La sua visione si concretizza soprattutto nel modo in cui si ci rende progressivamente conto della versatilità di alcuni poteri insiti nelle trimebe, spacciati inizialmente come utili solo in determinate circostanze, ma che, con l’attorcigliarsi del design dei puzzle, si riveleranno capaci di creare soluzioni inconcepibili con le sole meccaniche di base. Un dinamismo mentale richiesto anche per sfuggire ai frequenti trabocchetti insiti nella disposizione iniziale degli elementi sulla griglia, posizionati furbescamente in modo da suggerire procedimenti risolutivi errati. Impossibile non spendere due parole sulla singolare caratterizzazione artistica: i colori pastello utilizzati per rappresentare le biomasse sullo sfondo e la dolce musica dal sapore etnico che accompagnano le nostre innumerevoli ore di gioco creano un’atmosfera bio-fantasy davvero notevole se si considera il genere di appartenenza.

Volvox è un gioco impegnativo e, in quanto tale, non può essere affrontato a cuor leggero. Una volta accettato questo tacito patto con il titolo Neotenia vi aspetteranno ore ed ore di puzzle da risolvere. Non per tutti ma decisamente consigliato per quei pochi.

volvox polipi

  • Puzzle ingegnosi
  • Cura artistica
  • Impegnativo

 

  • Struttura ludica frustrante

NekoPolpo - Biografia

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