Pubblicato il 17/02/16 da Neko Polpo

Rise of the Tomb Raider

Archeologia d'assalto
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Tomb Raider è una delle saghe più longeve di sempre. Dal primo originale capitolo del 1996 fino al recente reboot datato 2013, la bella e procace archeologa Lara Croft ne ha viste di tutti i colori durante i suoi oramai 20 anni di onorato servizio. Nella sua più recente incarnazione abbiamo avuto modo di conoscere una Ms. Croft pesantemente revisionata: la nostra esploratrice di tombe, al contrario dei primi episodi (nei quali il suo fascino derivava dall’essere una James Bond al femminile, perfetta nel suo lavoro e dalle quasi sovrumane capacità), ha dimostrato un lato umano, mostrandosi per la prima volta al mondo come una adolescente impreparata ad affrontare le avversità che le si parano davanti, che piange dalla paura e dal dolore, una Lara che a più riprese si mostra debole, fragile e in contrasto con la reputazione che il personaggio aveva costruito nel corso degli anni.

Alcuni criticarono aspramente questa scelta, mentre il sottoscritto la accolse a braccia aperte: il personaggio ormai odorava di vecchio e stantio tanto da – probabilmente – non funzionare col moderno audience del mercato videoludico, senza contare che la caratterizzazione della nostra archeologa post-reboot supera di anni luce la precedente iterazione per quanto riguarda la profondità del personaggio.
Questa lunga evoluzione del personaggio della signorina Croft trova il suo culmine in Rise of the Tomb Raider, l’ultima installazione della serie curata dallo studio californiano Crystal Dynamics, il quale viene ambientato un anno dopo i tragici eventi accaduti nel reboot della saga.

Troveremo una Lara che fatica a reintegrarsi nella civiltà dopo le esperienze paranormali vissute nella isola di Yamatai e, come se non bastasse, l’assistere a tali eventi ha completamente rivalutato l’opinione della giovane Croft nei confronti del padre: un rinomato storico morto suicida dopo esser caduto in disgrazia per aver tentato di dimostrare al mondo l’esistenza di artefatti dai poteri sovrannaturali. Neanche a dirlo, Lara riprenderà le ricerche del suo genitore in preda ad un ossessione precisa: riabilitarne il nome e trovare così finalmente la pace con la propria coscienza. Per Lara, è arrivato il momento di diventare ciò che è sempre stata destinata ad essere: la Siberia ci aspetta.

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“We become who we’re meant to be.”

Parlando di Siberia, non posso fare a meno di citare immediatamente di uno dei punti forti di questo titolo: l’ambientazione. Il comparto tecnico di Rise of the Tomb Raider è di prim’ordine: la grafica è estremamente godibile in ogni momento del gioco, le viste panoramiche – in particolare durante i primi minuti – sono assolutamente mozzafiato, un vero e proprio spettacolo per gli occhi.

Il modello di Lara in particolare è ricco di dettagli, sciolto nelle animazioni e veramente curato sotto ogni aspetto. Anche il famigerato Tress FX Hair, il motore fisico che si occupa della gestione dei capelli della nostra archeologa, fa la sua eccellente figura: nonostante in principio pensassi fosse un opzione inserita nel gioco solo per marketing, fa veramente la differenza, donando una vita propria alla capigliatura castana della nostra bella esploratrice. Se non mi credete, provate a disabilitarlo dopo un paio di ore di gioco: noterete una differenza abissale.

Altro punto forte di questo titolo è la qualità eccelsa del porting PC: su una AMD Radeon 270X (che è una GPU di fascia media) riesce egregiamente a mantenere un framerate accettabile con il preset grafico “Alto”, con alcune incertezze nelle aree più grandi e durante alcune cutscenes / Quick Time Event. In particolare, lo switch tra desktop e gioco in fullscreen tramite la combinazione di tasti Alt+Tab è sempre veloce e senza intoppi.

Nonostante spesso si dica che la grafica conta poco in un videogioco, la verità è che anche l’occhio vuole la sua parte, ed ho apprezzato molto trovarmi tra le mani un titolo così dettagliato dopo un lungo digiuno di titoli tripla A durato quasi un anno. Ovviamente sono presenti alcuni piccoli errori (ogni titolo con una tecnologia grafica di ultima generazione purtroppo ne ha) come alcune compenetrazioni tra gli oggetti che Lara può utilizzare ed alcuni piccoli glitch riguardanti la fisica degli elementi ambientali, ma tutto ciò non riesce a intaccare l’impressione estremamente positiva che ho provato nel giocare Rise of the Tomb Rider: il motore fisico e grafico di ottima fattura donano al gioco un taglio estremamente cinematografico. Per chiunque di voi abbia dell’hardware in grado di sostenere il gioco a dettagli massimi, probabilmente vi troverete davanti un vero e proprio spettacolo.

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Un simpatico bug ha dato vita a quella che ho ribattezzato come “la pistozza”,

Non solo di grafica vive il videogiocatore, altrimenti non avremmo mouse e tastiera fra le mani. Per quanto concerne il gameplay, Rise of the Tomb Rider ripropone il modello proposto dal Tomb Raider del 2013: un action adventure con meccaniche da shooter in terza persona in grado di gestire dinamicamente le fasi esplorative, stealth e di combattimento. In sostanza si potrebbe dire che Rise of The Tomb Raider altro non è che un more of the same. Forse lo è, ma è esattamente quello di cui questo titolo aveva bisogno: le meccaniche di gioco del precedente capitolo erano e sono tutt’ora eccellenti ed il suo seguito non fa altro che riproporle migliorandole.

Avremo a disposizione diverse armi da fuoco con cui eliminare gli ostacoli che ci si pareranno davanti, ognuna di esse potenziabile attraverso materiali che potremo raccogliere sia da fonti naturali – come le pellicce degli animali che cacceremo – o minerali grezzi che andremo ad estrarre con la nostra fidata piccozza. Ovviamente non manca l’arco, simbolo iconico della Lara post-reboot assieme alle suddette piccozze, che è andato a sostituire le ormai vetuste doppie pistole che hanno caratterizzato da sempre l’archeologa inglese.
La componente stealth, nonostante sia solo accennata, fa egregiamente il suo dovere: attraversare aree stracolme di nemici senza farsi notare od eliminandoli tutti silenziosamente non solo è una sfida decente, ma premierà il giocatore attraverso un bonus ai punti esperienza per l’uccisione silenziosa.
Le fasi esplorative sono state pesantemente ampliate: le tombe opzionali del capitolo precedente ritornano rivedute e corrette, offrendo degli enigmi di certo non complicatissimi ma che richiederanno una dose accettabile di utilizzo della materia grigia del giocatore, a meno che non tenga abilitati i suggerimenti attivabili attraverso l’istinto di sopravvivenza di Lara (consiglio caldamente di disattivarlo).

Non solo: le aree di gioco, nonostante sia comunque sviluppato linearmente, sono mediamente più grandi di quelle del suo predecessore ed offrono molti più elementi di arrampicata, in particolare con l’ausilio di alcuni gadget che vi verranno consegnati avanzando nella trama del gioco.
Ultimo elemento di gioco da considerare – ma non meno importante – sono i collezionabili, i quali sono probabilmente tra i migliori che io abbia mai avuto modo di scovare e raccogliere in un videogioco: essi infatti saranno composti principalmente da documenti ed artefatti che, oltre a fornire spunti di lore molto interessanti, permetteranno a Lara di incrementare le sue capacità linguistiche, permettendo così di tradurre e comprendere i segreti scritti nelle varie lingue tra le quali spiccano il greco antico ed il mongolo presenti nell’ambientazione.

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Il sistema di mira è rapido ed intuitivo.

Come già accennato precedentemente, avremo modo di potenziare il nostro alter ego attraverso vari elementi, come ad esempio il sistema di crafting.

Questa meccanica permetterà a Lara non solo di potenziare il proprio equipaggiamento, ma anche di raccogliere ed utilizzare oggetti rinvenuti durante l’esplorazione on the fly combinandoli con dei materiali raccolti precedentemente, creando così ordigni esplosivi e granate fumogene per debilitare o mettere K.O. i soldati dell’organizzazione conosciuta come Trinity (gli antagonisti principali del gioco). È un vero peccato che però il sistema di crafting sia solo accennato: manca infatti di profondità, in quanto i potenziamenti non spiccano certo per varietà e difficilmente vi mancheranno le risorse per craftarli, se vi dedicherete ad una minima forma di grinding. Altro elemento (purtroppo) solo accennato sono i punti abilità: compiendo azioni ed eliminando nemici guadagneremo punti esperienza, i quali ci permetteranno di assegnare dei punti abilità per sbloccare delle skill da 3 differenti rami in grado di potenziare le capacità di sopravvivenza e di combattimento della signorina Croft. È interessante che la Crystal Dynamics abbia voluto dare la sensazione di crescita della protagonista anche attraverso un miglioramento effettivo delle capacità di Lara, ma essendo questa una meccanica appena abbozzata perde quasi completamente di significato. In parole povere: si poteva fare di meglio.

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Il sistema di upgrade poteva esser gestito molto meglio. Un vero peccato.

In conclusione Rise of Tomb Raider è il degno erede del reboot della saga, prendendo gli ottimi elementi in esso già presenti e rifinendoli in quello che è un vero e proprio gioiello.
Un titolo consigliato a chiunque ami il genere adventure. Lara Croft, da bambina sopravvissuta, diventa una donna dalle incredibili capacità in questo capitolo, pur mantenendo però il suo lato umano: vi assicuro che vi innamorerete velocemente di questo personaggio, a meno che non siate dei nostalgici della vecchia Ms. Croft oppure se siete tra quelli che vedono ogni gioco adventure che vi capita fra le mani come il clone di Uncharted o di Assassin’s Creed.

Rise of the Tomb Raider è acquistabile per PC ed Xbox One in copia fisica, mentre per PS4 si dovrà aspettare un generico “fine 2016”. Nel caso foste interessati nella copia digitale, è disponibile nel negozio di Steam e sullo store Microsoft di Windows 10 al prezzo di 44.99 € / 49.90 €.

  • Lara Croft
  • Graficamente stupendo
  • Personaggio ben caratterizzato
  • Meccaniche di gioco ottimamente realizzate

 

  • Lineare
  • Sistema di crafting
  • Qualche bug di troppo

NekoPolpo - Biografia

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