Pubblicato il 22/03/16 da Neko Polpo

King’s Quest Episodi 1 & 2 – Il ritorno del Re

Vi immaginate che ansia hanno addosso i The Odd Gentlemen? Un giorno li chiama Activision e appioppa loro un progettino facile facile: resuscitare King’s Quest, la prima vera avventura grafica della storia. Roba da nulla. “A proposito“, continua Activisionvogliamo riesumare il brand Sierra ed il successo dell’operazione dipende tutto da questo. Non preoccupatevi, ci stava lavorando Telltale Games prima di voi, dovete solo equiparare la qualità dei loro giochi migliori. Niente pressione“. Posso quasi immaginare Matt Korba mettere giù la cornetta e sedersi in sala riunioni a fissare l’infinito per un paio d’ore buone.

In un paio d'occasioni il gioco passa da lenta esplorazione a cartoon interattivo, stile Dragon's Lair.
In un paio d’occasioni il gioco passa da lenta esplorazione a cartoon interattivo, stile Dragon’s Lair.

Nel caso foste uno di quei dannati millennials che hanno saltato gli anni ’80 e gran parte dei ’90 (o vi servisse solo una rinfrescata alla memoria), King’s Quest è il gioco che ha, letteralmente, definito il mondo delle avventure grafiche. Nel 1983, Ken e Roberta “moon logic” Williams, stufi delle ormai obsolete avventure testuali con al massimo qualche immagine statica ad interrompere paragrafi di testo mal formattato, progettarono un motore di nuova concezione per il genere, con sfondi animati interattivi, musica di sottofondo e perfino il personaggio libero di scorrazzare sullo schermo, controllato direttamente da noi. So che può sembrare buffo dirlo nell’anno del Signore 2016, ma erano nuovi orizzonti per il genere, al tempo.
King’s Quest (rinominato poco dopo in King’s Quest I: Quest for the Crown) ebbe il triplice risultato di figliare un’intera categoria di videogiochi, di portare la neonata Sierra On-Line alla ricchezza e di consegnare i signori Williams all’Olimpo dei game designer. Ironico, se pensiamo che i puzzle “alla Roberta Williams” sono diventati una stigma del genere ma, indipendentemente da ciò, la storia era scritta.

La sala del trono di Daventry. Ahh, proprio come la ricordavo...
La sala del trono di Daventry. Ahh, proprio come la ricordavo…

Flashforward al 2015 e King’s Quest (senza numero o indicativo ulteriore, ovviamente) debutta con il primo episodio di una stagione dal ritmo letargico. Nel caso vi foste chiesti come mai ci abbia messo così tanto a toccare questo gioco, la risposta è semplice: aspettavo di toccare la stagione completa e recensirla in un colpo solo, un piano saltato per pura disperazione, visto che a quasi un anno dalla prima release, mi trovo in mano solo i primi due episodi. Recensione episodica sia, allora.

Capisco che io possa suonare ostile verso i The Odd Gentlemen, ma, in verità, a parte le mie riserve sulla release schedule, ho parecchio di buono da dire sul lavoro da loro svolto, ad iniziare dalla sceneggiatura.
La premessa è, probabilmente, la migliore che si potesse scegliere: un ormai anziano Re Graham, indebolito e con due piedi e una mano nella fossa, riceve una visita dalla nipotina Gwendolyn, a cui racconta le sue avventure prima e dopo l’ascesa al trono di Daventry. Questo modo d’incorniciare le storie è particolarmente intelligente per diversi motivi, primo tra tutti, permette ai The Odd Gentlemen di restare in canone con gli episodi precedenti, pur concedendosi libertà narrative, giustificate tramite la scarsa memoria o pura fantasia del buon vecchio Graham. Consente, inoltre, di scrivere storie dal tono più leggero e fiabesco, in quanto sono racconti rivolti ad una bambina.
Tuttavia, non sarebbe King’s Quest se non si potesse morire all’improvviso per aver camminato due pixel nel posto sbagliato, ma basta un “no, non è andata così” del vecchio re per caricare l’ultimo checkpoint e nullificare tutta la frustrazione dei vecchi capitoli.

Le occasionali citazioni agli episodi passati sono deliziose.
Le occasionali citazioni agli episodi passati sono davvero deliziose.

La qualità della scrittura, in generale, è davvero di ottimo livello e a darle ancora più spessore, innegabilmente, è il doppiaggio. Sentire il vecchio Re parlare con la voce di Cristopher Lloyd non è roba da poco, ma anche molte altre voci sono parecchio azzeccate, tipo Josh Keaton (Robin, Lanterna Verde, Hercules) per il giovane Graham, Zelda Williams (si, la figlia di Robin Williams) ed il mio preferito in assoluto, Richard White, ovvero Gaston in La bella e la Bestia, che dona la voce a Whisper, il cavaliere vanaglorioso. Non è tutto rose e fiori, c’è qualche singhiozzo qui e li (perfino da parte di Lloyd, il che mi ha lasciato di sale), ma in generale è un lavoro di doppiaggio gradevole e pieno di energia.

Il gioco riesce, inoltre, a mantenere un tono fiabesco pur toccando temi maturi, come l’ansia e la paura di perdere i proprio cari, già presenti nel primo episodio ma particolarmente vividi nel secondo: un Graham fresco d’incoronazione viene rapito dai goblin ed imprigionato, costretto allo stesso tempo ad escogitare un piano di fuga, a distribuire le pochissime razioni tra gli altri prigionieri e a tentare di far sopravvivere più persone possibili. Non solo è un enorme contrasto con il primo episodio, in cui Graham deve superare le classiche prove da adventure game per diventare cavaliere di Daventry, è anche un indicatore della quantità di idee riversate nel progetto.
Fortunatamente, King’s Quest tenta di distanziarsi quanto può dal generico ed abusato schema “usa X su Y” e tenta di presentare situazioni ed enigmi più elaborati, nonchè a soluzione multipla.

Imprigionati dai goblin, soli nella nostra cella. Ci toccherà prendere decisioni difficili per sopravvivere.
Imprigionati dai goblin, soli nella nostra cella. Ci toccherà prendere decisioni difficili per sopravvivere.

Una parola su quest’ultimo punto: King’s Quest mantiene la tradizione della serie, del poter approcciare un problema con diversi metodi, ma, per quanto encomiabile il tentativo, non ne sembra troppo convinto. Nel secondo episodio in particolare diventa evidente come, nonostante si possano risolvere gli enigmi in ordine diverso, non esistano puzzle opzionali. Il piano per la fuga è assemblabile praticamente a piacere, in base a come decidiamo di gestire la sopravvivenza degli altri prigionieri, ma ogni singolo puzzle andrà comunque risolto ed ogni singolo oggetto raccolto.
Durante il primo episodio, ad esempio, essere ammessi alle prove per diventare cavalieri ci richiede di presentarci con un occhio di una bestia orrenda: le soluzioni possibili sono catturare un tasso incazzato, farci amici un troll o fabbricare una lanterna a forma di occhio. Una volta completata la prova nel modo che preferiamo, gli oggetti richiesti per gli altri bivi non diventano opzionali. La lanterna va comunque fabbricata per accedere a determinate zone della mappa, il tasso fa da soluzione ad un altro puzzle e farsi amici il troll è ugualmente necessario.
Forse è un tentativo di tenere a bada i bivi narrativi, per non lasciare che degenerino in decine di tentacoli ingestibili, forse è un modo per sfruttare ogni singolo elemento della mappa indipendentemente dalla strada scelta, ma il risultato finale butta un po’ di polvere sul senso dell’esercizio.

Per fortuna molti puzzle sono ben più creativi dell'usare un oggetto su un'altro a ripetizione.
Per fortuna molti puzzle sono ben più creativi dell’usare un oggetto su un altro a ripetizione.

Forse è tutto ordito per far risaltare il sistema di moralità, più che i puzzle in sé. Ebbene sì, in King’s Quest è ora possibile effettuare scelte che decidono l’eventuale allineamento di Graham, sugli assi di coraggio, furbizia e compassione. Prima che lo chiediate, no, non è possibile creare un Graham malvagio, e per fortuna, aggiungerei, in quanto tradirebbe il suo tradizionale ritratto di buontempone dal cuore d’oro, ma è un buon metodo per dare più spessore al personaggio ed alterare la storia quel tanto che basta da far sentire il viaggio più vicino e personale.
Gli enigmi a soluzione multipla si dividono in binari indirizzati sul rispettivo allineamento, il che è bene, un Graham coraggioso deciderà di catturare la bestia orrenda, mentre uno furbacchione userà una soluzione laterale all’intero problema, ma, come già detto, il problema principale è che prima o poi le strade vanno perseguite tutte. Ogni singolo oggetto, anche se appartenente ad allineamenti che non abbiamo scelto, è necessario a completare il gioco.

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Le diverse soluzioni in base alla moralità sono integrate organicamente con i puzzle. Niente scelte binarie tra Paragon e Renegade, qui.

Ecco un altro motivo per cui avrei preferito avere tutti gli episodi tra le mani prima di recensirli: è impossibile, al momento, dire quanto siano effettivamente efficaci le proprie decisioni. Il secondo episodio in particolare presenta conseguenze davvero pesanti a seconda delle proprie azioni e, sebbene sia speranzoso, parte di me non può che aspettarsi un altro caso alla Mass Effect 3. Posso dire questo, però, nell’ambito del singolo episodio l’eco delle proprie scelte è soddisfacente, con cutscene che variano quel tanto che basta da farci sentire non solo spettatori, ma anche attori della storia.

Non potendoci frustrare con la logica lunare di Roberta Williams, i The Odd Gentlemen hanno optato per puzzle diabolici come questo.
Non potendoci frustrare con la logica lunare di Roberta Williams, i The Odd Gentlemen hanno optato per puzzle diabolici come questo.

Per concludere, qualche parola sulla presentazione: è discreta, ma il basso budget è evidente. Lo stile grafico utilizzato è molto gradevole e la qualità degli sfondi davvero niente male, ma soffre molto nel reparto animazioni. I The Odd Gentlemen ha tentato uno stile cartoon, ma le animazioni sono sono abbastanza elastiche e rifinite per essere soddisfacenti. Telltale Games è riuscita, con l’esperienza, a raffinare il più possibile le sue animazioni legnose, fino a creare un risultato abbastanza gradevole e mi duole dire che i The Odd Gentlemen hanno ancora molto da imparare dai loro concorrenti, in questo reparto, almeno.

I fondali sono davvero ben realizzati, colorati, pieni di dettagli ed interessanti.
I fondali sono davvero ben realizzati, colorati, ricchi di dettagli ed interessanti.

Sono le animazioni facciali quelle che mi stringono il cuore. Perdinci, la serie classica di King’s Quest era pioniera di ritratti ad alta risoluzione e tecnologie di lip syncing, vedere un lavoro mediocre soprattutto in questo reparto è davvero triste. Bisogna far notare che c’è un miglioramento apprezzabile nel secondo episodio, però. Forse non tutto è perduto.

Insomma, gli episodi 1 e 2 di King’s Quest, seppure inciampando in qualche ostacolo per novellini, si presentano come un buon revival della serie classica. Ho ancora dubbi e soffrono di qualche magagna qui e lì, ma ammetto che mi hanno conquistato con la deliziosa scrittura e gli ottimi personaggi, nonostante quel paio di enigmi che fa sbarellare. Dategli una chance, il terzo episodio è previsto per il mese prossimo e potrebbe essere un buon momento per saltare a bordo del carrozzone del Re.

Il gioco è disponibile per PC (Windows, su Steam ma anche in una versione scatolata), Xbox 360, PlayStation 3, Xbox One e PlayStation 4.

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  • Ottima scrittura
  • Buon doppiaggio
  • Grafica gradevole
  • Soluzioni multiple
  • Ritorno di un classico

 

  • Animazioni altalenanti
  • Nessun puzzle è opzionale
  • Release letargiche
  • Soffre del suo basso budget


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NekoPolpo - Biografia

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