Pubblicato il 24/05/16 da Neko Polpo

Cast of the Seven Godsends – Demoni nostalgici

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Un po’ come in Captain America Civil War, per prevedere quanto può piacerti Cast of the Seven Godsends è importante prima capire #dachepartestai. Io ad esempio sono un nostalgico: nonostante abbia solamente sfiorato l’epoca d’oro delle sale giochi, ho un legame abbastanza forte con quel genere che Raven Travel Studios intende omaggiare; un legame costruito sugli emulatori della mia pre-adolescenza più che sui cabinati veri e propri. Dall’altra parte ci sono i giocatori moderni, quelli da salotto diciamo, i quali, non avendo alcuna connessione con Ghosts ‘n Goblins, non possono provare nessuna sincera emozione nel vedere riproposta quel tipo di giocabilità; potrebbero essere interessati a scoprire come si giocava prima che la loro storia di videogiocatori avesse inizio, ma a quel punto non vedo perché non dovrebbero dirigersi direttamente alla fonte.

Nonostante il #TeamSalotto rappresenti la maggioranza dei giocatori là fuori (per delle semplici ragioni di conversione o estinzione della specie), il team di sviluppo non si è dimostrato interessato ai grandi numeri. Ho avuto occasione di incontrare Paolo Cattaneo diverse volte, nelle mie scorribande tra gli stand indie sparsi per le fiere in giro per l’Italia, e più volte il game designer torinese mi ha ripetuto come il suo principale scopo fosse quello di accontentare il più possibile i nostalgici, sviluppando un titolo che potesse riportarli ludicamente indietro di qualche anno. Scontrandosi con quelli che possono essere gli stilemi degli esponenti moderni del genere, Cast of the Seven Godsends coraggiosamente/follemente/cocciutamente propone una formula di gioco volontariamente arcaica, cercando di consolare (pun) tutti quei retrogamer che negli anni hanno versato fiumi di lacrime sulle cartuccione dei capolavori Capcom.

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Salvare un figlio non è come salvare una principessa, ma quasi.

Prima di andare avanti vorrei provare a rispondere ad una domanda: quante possibilità può avere Cast of the Seven Godsends con il #TeamSalotto? Probabilmente poche. Al di là di qualche “cattiveria di genere” (sezioni superabili dopo una meticolosa fase di memorizzazione e barre della salute di alcuni boss più che estenuanti), il vero scoglio per i novizi potrebbe celarsi in una struttura Arcade che lascia davvero poche concessioni al moderno: non ce lo vedo un ragazzino abituato a punti di respawn frequenti – oppure ad altre soluzioni di design analoghe – incominciare una nuova run immediatamente dopo aver perso la precedente a causa di una morte unfair (magari per un masso caduto all’improvviso dall’alto), smaltendo così all’istante quella frustrazione che una situazione del genere va inevitabilmente a creare. La mancanza di tutti quegli stimoli presenti un tempo in sala giochi – dal cameratismo (nella concezione più larga possibile del termine) ad una varietà di titoli che comunque non permetteva di sfuggire ad un livello di difficoltà superiore a quello odierno – rischia di respingere i giocatori non abituati a sottostare alla filosofia Arcade. Manca quell’incentivo “all’apprendimento” che, idealmente, poteva risiedere in una curva di difficoltà ben calibrata, capace di garantire quella dolce soddisfazione ogni qual volta si fosse riusciti a raggiungere sezioni di gioco sempre più remote; purtroppo le sequenze più punitive sono distribuite in maniera abbastanza casuale all’interno dei livelli, rendendo le impennate di difficoltà ancora meno digeribili.

L’unico appeal per un giocatore moderno potrebbe essere, paradossalmente, tutto ciò che concerne la caratterizzazione. Rimaste ancorate a dei concetti narrativi ed estetici classici, non necessitando la ricerca dell’originalità a tutti i costi, la trama e l’ambientazione riescono a far percepire un senso di avventura perduto, proiettandoci in un mondo magari privo di un contesto verosimile (città costruita alla base di un vulcano) ma non per questo meno affascinante. Particolare cura è stata riservata al bestiario che, oltre a richiedere approcci di attacco eterogenei, potrebbe stuzzicare la creatività dei giovanissimi, grazie ad una lunga sfilza di creature di tutte le forme e colori.

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Come per le armi, la varietà dei nemici è davvero ottima.

Ma passiamo alle considerazioni che possono interessare al “pubblico di riferimento”. Cast of the Seven Godsends riporta la formula dei run ‘n’ gun alle sue gloriose origini Arcade, riproponendo quella vecchia ricetta di piattaforme sospese, orde di nemici e giganteschi boss. Seppur le influenze ludiche siano varie, è giusto considerare il titolo di Raven Travel Studios come un discendente diretto della saga di Ghosts ‘n Goblins, vuoi per una spiccata somiglianza ludica tra Re Kandar (il nostro eroe) e l’iconico Arthur, vuoi per un’ambientazione medievale paragonabile a quella immaginata più di 30 anni fa da Tokuro Fujiwara. Un omaggio palese che riesce a non scivolare nella zona plagio grazie a qualche interessante inserto qua e là. Il ritmo di gioco, sempre dall’incedere claudicante a causa dei nemici e delle trappole disseminate ovunque, è considerevolmente più sostenuto rispetto a quello del classico Capcom: la rapidità e la resistenza dei demoni, più alte del previsto, fanno da contraltare ad una velocità di fuoco sopra alla media. Questo si traduce nella necessità di mantenere il nostro protagonista sempre in movimento durante le fasi più concitate, ricorrendo a brevi sessioni di button mashing ogni qual volta dovremmo abbattere un ostacolo ostile (una pratica piacevolissima se si possiede un – consigliatissimo – stick da sala).

Un altro tratto distintivo di Cast of the Seven Godsends è il sistema offensivo: le armi, che vanno da piccoli pugnali fino a grossi martelli, possono essere potenziate grazie a degli effetti elementari contenuti nelle armature delle 7 divinità che danno il nome al gioco. Le molte combinazioni possibili, oltre ad incrementare il danno inflitto, modificano radicalmente le originali caratteristiche dell’arma, alterandone gittata e forma della hitbox. Cercare la combinazione più adatta per ogni situazione è una delle cose più divertenti del titolo italiano ma, esattamente come succedeva in Gunstar Heroes, si scoprirà ben presto che alcune coppie di “armamenti” sono decisamente più performanti di altre: un’equazione influenzata principalmente dai colpi caricati, capaci in alcuni casi di ripulire totalmente lo schermo.

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La prospettiva va a farsi benedire.

Una critica a cui Cast of the Seven Godsends davvero non può sottrarsi – indipendentemente dal tipo di giocatore – è quella riguardante il suo aspetto visivo. Per ovviare a delle risorse limitate, necessarie per mettere in piedi una pixel art come si deve, il team ha preferito ricorrere ad uno stile grafico più moderno, in cui non fosse possibile percepire gli spigoli vivi delle sprite. Questo, oltre ad essere stato accoppiato con un character design non troppo azzeccato, rovina quella che era fino a questo punto una ricostruzione filologica convincente. Una scelta stilistica che purtroppo ha ripercussioni anche sul gameplay: la mancanza di punti di riferimento precisi (che sarebbero stati garantiti da una griglia di pixel) rende alcuni passaggi, soprattutto di platforming, un po’ troppo vaghi; non si arriva mai a quella confidenza con i comandi in grado di farti eseguire salti pixel perfect ma, anzi, si ci abitua a balzare sempre leggermente in anticipo per non rischiare di finire in qualche precipizio.

Cast of the Seven Godsends è un titolo godibile che riesce nel suo intento di restituire alcune delle sensazioni percepibili di fronte ad un vecchio cabinato. Purtroppo, per via di una realizzazione quasi artigianale, non oltrepassa mai i confini dell’omaggio, rifiutando in tutti i modi di rendersi appetibile ad un nuovo pubblico. I vecchi leoni da sala rimarranno soddisfatti, a patto di chiudere un occhio su una veste grafica poco convincente. L’amore si cela nelle imperfezioni.

CAST OF POLIPI

  • Rispettoso

 

  • Stilisticamente non entusiasmante
  • Graficamente sbagliato

NekoPolpo - Biografia

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